A che punto è la strategia industriale europea per mettere in sicurezza la fornitura di componenti elettronici? Un aggiornamento sullo stato di avanzamento del Chips Act, tra obiettivi strutturali e ostacoli ancora da superare.

Il mercato globale dei semiconduttori è oggi fortemente sbilanciato: gli Stati Uniti dominano la progettazione (grazie al controllo del 70% del mercato EDA assieme all’UE), mentre la produzione è concentrata in Asia, in particolare nelle mani di TSMC a Taiwan, che da sola realizza il 92% dei chip sotto i 10 nanometri.
La Cina, dal canto suo, controlla gran parte delle fasi di packaging e detiene circa il 20% della produzione mondiale di wafer. Questa estrema specializzazione geografica rende la catena di approvvigionamento particolarmente vulnerabile a shock esterni, come tensioni politiche o interruzioni logistiche, confermando l’urgenza per l’UE di ridurre la dipendenza da regioni instabili o concorrenti strategici.
Negli ultimi anni, le tensioni tra Stati Uniti e Cina hanno portato a un’escalation di dazi e restrizioni all’export: gli USA hanno introdotto imposte anche superiori al 100% su alcune tecnologie cinesi, e limitato l’accesso di Pechino a tecnologie critiche per la produzione di chip avanzati.
Questa situazione ha spinto attori chiave del settore a rivedere le proprie strategie produttive. TSMC, ad esempio, ha avviato un investimento da 100 miliardi di dollari per costruire nuove fabbriche in Arizona, ma ha dichiarato che questa scelta comporterà un aumento dei costi del 30%, mettendo in evidenza quanto il reshoring migliori la sicurezza, ma non l’efficienza economica.
L’Europa, nel frattempo, ha avviato alcune operazioni chiave per rafforzare la propria base industriale, ma la competizione globale si sta intensificando e il vantaggio di partenza di altre regioni resta considerevole.
Nel quadro del Chips Act, sono già stati avviati alcuni progetti industriali strategici. In Germania, TSMC, in collaborazione con Bosch, Infineon e NXP, ha avviato la costruzione di una nuova fabbrica di semiconduttori a Dresda. Il progetto, sostenuto da un investimento complessivo di circa 10 miliardi di euro, di cui 5 miliardi finanziati dal governo tedesco. L’impianto, che sarà operativo entro il 2027, produrrà chip avanzati destinati principalmente all’industria automobilistica.
Anche l’Italia era al centro di un piano ambizioso: nel 2022 Intel aveva annunciato fino a 4,5 miliardi di euro per uno stabilimento di assemblaggio e packaging avanzato. Tuttavia, il progetto è stato congelato nel 2024 in attesa di condizioni di mercato più favorevoli.
Oltre agli impianti, l’UE ha puntato anche sulla formazione, con la nascita della European Chips Skills Academy (ECSA) per colmare il gap di competenze specialistiche. Sono stati inoltre concessi fondi dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) per sostenere la ricerca e sviluppo di NXP. Infine, la Commissione Europea ha approvato il finanziamento per il nuovo impianto Infineon a Dresda, destinato alla produzione su wafer da 300 mm.
Nonostante gli investimenti promossi dal Chips Act, la frammentazione tra le politiche industriali dei singoli Stati membri rischia di limitare l’impatto dell’Europa nella corsa globale ai semiconduttori. Come evidenziato da Elettronica AV, l’assenza di un coordinamento centrale ostacola la creazione di ecosistemi forti e sinergici, indebolendo la capacità del continente di attrarre investimenti, valorizzare i talenti e raggiungere gli obiettivi strategici entro il 2030.
Anche i tempi e i costi della costruzione di fabbriche rappresentano un freno. Negli Stati Uniti, realizzare un impianto richiede il doppio del tempo e dei costi rispetto a Taiwan, e non è da escludere che l’Europa presenti ostacoli simili. Secondo The Guardian, la strategia europea resta “profondamente scollegata dalla realtà” in assenza di un salto di scala nell’attuazione concreta.
Il contesto internazionale è sempre più competitivo: secondo il rapporto SEMI, nel solo 2025 saranno costruite 18 nuove fabbriche di semiconduttori nel mondo, ma solo 3 saranno in Europa o Medio Oriente.
Se l’UE vuole davvero competere, dovrà accelerare l’attuazione, evitare la frammentazione tra Stati membri e investire in modo più deciso in tutta la filiera, dalla formazione alla logistica fino alla gestione ambientale, come l’utilizzo sostenibile dell’acqua.
In gioco non c’è solo la sovranità tecnologica, ma la capacità dell’Europa di contare nel mondo che verrà.
Inoltre, i continui cambiamenti sui dazi imposti da Trump, nuovamente rinviati al primo agosto, non fanno che aggravare una situazione già caotica. Resta da capire se questa instabilità rappresenti un’incertezza destinata a perdurare nel tempo, alla quale dovremo adattarci, oppure se si possa sperare in un’evoluzione verso un contesto più stabile e prevedibile.
A peggiorare ulteriormente il quadro in Italia, i tempi di consegna dei materiali iniziano ad allungarsi, spesso senza rispettare i lead time indicati al momento dell’ordine. Ciò è dovuto al blocco della produzione da parte di molte fabbriche, che sta riattivando un ciclo pericoloso per la catena della fornitura, una dinamica già sperimentata in passato, con effetti significativi.
Nel pieno della trasformazione dettata dall’European Chips Act, c’è un attore strategico che può fare davvero la differenza: il distributore indipendente di componenti elettronici.
Se l’Europa vuole davvero costruire un futuro tecnologicamente autonomo e competitivo, il contributo di distributori indipendenti, come Electronic Partner, sara’ essenziale.
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